Il settimo anno del Chianni Opera Festival si apre all’insegna di Puccini e di una delle sue Opere più belle: Tosca, melodramma in tre atti su libretto di Illica e Giacosa, tratto dall’omonimo romanzo di Victorien Sardou.
L’evento, dedicato al centenario della nascita del grande soprano Maria Callas, è organizzato dall’associazione Castrum Clani in collaborazione con il Comune di Chianni, la ProLoco di Chianni e il Gruppo Artistico La Soffitta.
Quella che va in scena a Chianni è una Tosca perfettamente calata nel territorio.
A far da sfondo ai tragici avvenimenti l’ingresso della piccola Chiesa di paese inserita tra le facciate di due palazzi che si aprono sulla Piazza.
Una regia accurata, quella di Giancarlo Ceccarini coadiuvato dall’aiuto regista Alberto Domenico Mastromarino, che tiene conto dello spazio angusto su cui sviluppare il dramma e lo utilizza al meglio.
Scene e costumi sono del Chianni Opera Festival e parte degli arredi sono presi in prestito dalla Chiesa stessa.
Il piccolo altare su cui poggia il quadro in stile trecentesco raffigurante la Madonna, attorniata da 4 lunghi ceri e composizioni floreali, è quello dove la notte di Natale viene adagiato Gesù bambino.
I tavoli e le sedie fanno parte degli arredi ecclesiastici.
Tutto mira ad infondere al pubblico un senso di familiarità.
Le luci che illuminano in modo sempre fascinoso la scena sono di Maurizio Creati e Nicola Regolini.
I costumi, soprattutto quelli delle guardie, ci fanno capire che l’epoca è traslata di circa un secolo. Ci troviamo negli anni della prima guerra mondiale. Se vengono meno i riferimenti storici è anche vero che cambiando gli addendi il risultato non cambia. La storia si ripete anche se con nomi diversi e ciò che rende un’Opera immortale è la capacità di funzionare in ogni epoca perché ciò che muove i protagonisti sono desideri primari che sempre accompagneranno l’uomo.
E in questa Tosca abbiamo tutto. Amore, odio, desiderio, lotta contro il potere.
E a dare vita ai protagonisti un cast di grandissimo livello.
A cominciare dal basso Alessandro Ceccarini che interpreta Angelotti in modo impeccabile. Suono ben proiettato, voce profonda e solida. Il suo ingresso è cadenzato con la musica. Ogni gesto e accurato. Si guarda intorno, cerca la statua della Madonna, ci gira intorno alla ricerca della chiave finché non la trova. La sua linea di canto è sempre pulita e senza imperfezioni anche nel dialogo con Cavaradossi.
Ad interpretare il pittore amante di Tosca il giovane tenore Alessandro Fantoni. Timbro caldo e virile, suono corposo, e buona salita agli acuti. Il tutto accompagnato da una bella presenza scenica e una grande sintonia con la protagonista.
Bello lo slancio con cui nel secondo atto cerca di avventarsi contro Scarpia. Di grande suggestione infine la sua “Lucevan le stelle…” sotto il cielo notturno.
La voce modulata in modo espressivo indugia teneramente nel ricordo della donna amata con il tono angosciato di chi sa che non potrà rivederla più.
Bellissimo il legato in “Le belle forme disciogliea dai veli…” che va in diminuendo. Poi si innalza fino alla disperazione sfogata in acuto in “…e non ho amato mai tanto la vita…” con l’ultima parte che viene ripetuta poi in modo più sommesso. Annientato dal pensiero della fine.
Il Barone Scarpia è interpretato dal fuoriclasse Alberto Mastromarino. Un artista a cui basta uno sguardo per incutere timore. Maestoso fisicamente e vocalmente. Scandisce ogni frase con cura e infida determinazione. Ebbro di potere e ben deciso ad ottenere ciò che vuole. L’entrata in scena è da manuale. Si impone con forza magnetica e l’accento imperioso con cui detta gli ordini non ammette replica. Se in qualche punto la voce appare meno sicura c’è sempre in agguato la zampata del leone a far capire chi comanda. E tra lui e Tosca è una bella lotta.
E poi c’è lei, Cristina Ferri impegnata nel ruolo del titolo, che riassume in se tutte le caratteristiche del personaggio. Appena entra in scena con il suo incedere elegante e sicuro, vestita con un ampio abito di raso azzurro e avvolta da veli, abbiamo la sensazione di essere di fronte a lei…alla Diva.
E’ Tosca in ogni momento. Languida e sensuale. Gelosa e vendicativa. Disperata e straziata. Dotata di uno sguardo in cui è possibile scorgere una scintilla ferina. Vocalmente sostiene il ruolo con grande tecnica e voce ampia, musicale e, soprattutto, sempre espressiva.
Capace di dare significato ad ogni parola accompagnandola con i gesti, con le giuste occhiate, e dotata di quella caratteristica che hanno gli artisti veri che è quella non di indossare i panni di un personaggio, ma di viverci dentro.
Sicurissima negli acuti taglienti e pieni. Se in qualche punto la voce risuona chiara è anche vero che è sorrettain modo raffinato e mai disarmonico.
Domina completamente il Palco nel secondo atto. La sua “Vissi d’arte, vissi d’amore…” è una preghiera dolce e dolorosa.
Il finale, con lei che alza il braccio in segno di sfida e urla “O Scarpia, avanti a Dio!” per poi, con tempismo perfetto e con “scenica scienza”, sparire in un varco laterale, è un colpo di teatro perfettamente riuscito. La sensazione è davvero quella che si sia gettata nel vuoto.
Il pubblico scoppia in un applauso fragoroso ancora prima che suonino le ultime note.
Paolo Breda Bulgherini, bass-baritono dalla voce importante e ben caratterizzata si divide nel doppio ruolo del Sagrestano e quello di Sciarrone. I due ruoli sono ben differenziati scenicamente. Ad entrambi conferisce una fisicità massiccia, ma tanto il sagrestano appare remissivo e spaventato, piegato da un’andatura lievemente claudicante, quanto Sciarrone si mostra impettito e sicuro nella sua divisa da Gendarme.
Spoletta è invece il tenore Francesco Marchetti che attribuisce al suo ruolo la giuste dose di cattiveria e viltà, palesemente terrorizzato da uno Scarpia che incombe su di lui minaccioso quando porta la notizia che la Villa è stata perquisita ma Angelotti non si è trovato.
A concludere il cast due giovani voci che ben figurano nell’insieme. Il Pastorello di Laura Scapecchi che cesella il canto in dialetto romano con grande musicalità, e il carceriere di Eugenio Zunino con voce acerba ma già profonda e ben indirizzata.
La Direzione dell’Orchestra Orpheus è affidata al M° Gabriele Centorbi impegnato nel difficile compito di cercare di amalgamare nel miglior modo possibile la parte orchestrale, con i cantanti, e il coro.
“Saltuariamente si assiste a qualche imprecisione orchestrale e a difficoltà a mantenere la giusta sincronia con il palcoscenico, casi episodici che non hanno pregiudicato la ottima riuscita globale, valutando anche che si trattava di una esecuzione all’aperto.
C’è da sottolineare alcuni momenti molto belli come il “Te Deum”, ottenuto con colori molto suggestivi, e tutto l’inizio del terzo atto, con il magico risuonare delle campane, accuratamente scelte dal M° Centorbi in modo da far risaltare le diverse sonorità volute in partitura. Inoltre un plauso ai corni nell’incipit di inizio atto dotati di uno splendido suono.
Aver messo in scena un’Opera così importante, e difficile, con un cast di tale livello è di per se un evento.
Se è stato possibile ottenere un risultato finale più che soddisfacente è perché c’è dietro tanto mestiere e tanta passione da parte di tutti.
E il successo di pubblico che ha riempito la Piazza applaudendo con grande convinzione conferma la messa in scena di una Tosca coinvolgente, emozionante e che ha soddisfatto le aspettative.
Loredana Atzei